Oggetti e strumenti, documenti e testimonianze: un ricco patrimonio
Il patrimonio del MET di Santarcangelo è frutto di acquisizioni e donazioni private che si sono succedute nel corso degli anni, ma comprende anche documenti materiali e testimonianze che sono stati acquisiti grazie all’attività di ricerca nel territorio che ne rappresenta la base fondante.
Oggi ne fanno parte oggetti della cultura materiale, attrezzi e strumenti agricoli, grandi macchine e mezzi da trasporto che venivano utilizzati per le attività agricole, per la vita quotidiana, per i mestieri del borgo.
Sono presenti, inoltre, un prezioso archivio di fondi fotografici e interviste che completano il racconto tra il materiale e l’immateriale e una collezione di burattini e burattette, appartenuta alla compagnia/famiglia Salici-Stignani, attiva tra fine Ottocento e la metà del Novecento.
L’etnografia: un racconto per temi
Il ricco patrimonio etnografico contiene documenti di vita relativi al mondo contadino della Romagna, attraverso i quali si possono raccontare aspetti legati alle attività lavorative, ai mestieri, alla casa, alla famiglia, ma anche a tutto quell’universo fatto di credenze, religiosità e riti che conferiscono agli oggetti più piani di lettura, dal funzionale al simbolico.
Il ciclo del grano
Il territorio di Santarcangelo ha da sempre una forte vocazione agricola, legata a due principali coltivazioni, quella del grano e altri cereali e quella della vite.
La via del grano è fatta di attrezzi, saperi, credenze in cui i protagonisti (l’uomo, il sole, la terra e la spiga) danno a ogni strumento compiti pratici e significati simbolici.
Il ciclo vino
Il vino è da sempre protagonista della convivialità, elemento di unione e socialità: con il vino si scambia, si stringono parentele e amicizie, si legge il futuro, si scacciano le negatività e si dà forza allo spirito.
La vendemmia rappresenta uno dei momenti essenziali dell’annata agricola e un’attività in cui tutti i membri della famiglia contadina sono coinvolti.
I sistemi più diffusi per la spremitura degli acini fra Otto e Novecento prevedono l’uso di un recipiente di legno per raccogliere l’uva detto bigoncia, della cassa e della vasca di pigiatura.
Con acqua e pietra: i mulini
Nella zona della Valmarecchia esistono molti mulini, alcuni ancora in uso, che funzionano utilizzando la forza dell’acqua per l’energia necessaria al movimento delle macine che trasformano il grano in farina.
Le macine sono grandi e pesanti ruote in pietra e vengono dette idrauliche perché spostate dall’acqua. Il sistema dei mulini di questo territorio viene chiamato “a ruota orizzontale” o a trasmissione diretta: si tratta di una soluzione semplice ma non appropriata per sfruttare pienamente l’energia prodotta dalla caduta d’acqua (a un giro di ruota corrisponde un giro della macina).
I trasporti rurali
Fin dall’antichità il carro rappresenta il veicolo per gli spostamenti di persone e merci e ancora nella Romagna meridionale dei contadini viene usato per i trasporti rurali.
Il tipo più diffuso, in Italia in generale, è quello a due ruote, il biroccio, trainato quasi sempre da una coppia di buoi, più raramente da vacche.
Grazie alla robustezza del tiro animale, il carro può essere massiccio e pesante. Fra i carri agricoli, il più robusto è quello a quattro ruote, il plaustro, usato da contadini e braccianti per i carichi pesanti o ingombranti.
La caveja: funzione e simbolo
La caveja è uno degli oggetti più rappresentativi del MET che ne possiede una ricca collezione: 130 pezzi risalenti al periodo compreso tra il XVI e il XX secolo.
La caveja è uno strumento funzionale ma è diventato anche simbolo per eccellenza della tradizione contadina romagnola. È costituita da un’asta (o stelo) in ferro battuto che termina in alto con una piastra (o pagella), decorata con immagini diverse e anelli che variano da uno fino a sei nei modelli più complessi.
Dal punto di vista pratico, la caveja serve a bloccare il giogo, portato da due bovini, al timone di aratri, carri, erpici, con funzione di frenata, per evitare che il mezzo urti contro gli animali.
Fra trama e ordito: filatura e tessitura
Filatura e tessitura rappresentano l’attività femminile per eccellenza, necessaria per il sostentamento familiare e carica di una forte valenza simbolica: gli strumenti principali utilizzati per filare e tessere (rocca, filatoio e telaio) sono associati fin dall’antichità al mondo e al tempo delle donne.
Ogni tessuto prodotto può essere considerato come una mappa in cui si congiungono fibre naturali, saperi tradizionali, simboli e pratiche rituali della femminilità.
Le fasi principali del ciclo tessile sono filatura e tessitura.
I mestieri del borgo
Il patrimonio del MET racconta diversi mestieri del borgo, che comprendono tutto un universo di materie, di pratiche, di strumenti, di trasmissione di saperi da maestri ad apprendisti.
Burattini: la collezione dei Salici-Stignani
Il MET conserva una preziosa collezione di burattini appartenuti alla famiglia Salici-Stignani, burattinai attivi tra fine Ottocento e prima metà del Novecento, donati a Santarcangelo da Tinin Mantegazza negli anni ’90 del secolo scorso.
La collezione è costituita prevalentemente dalle cosiddette burattette, che rappresentano un anello di congiunzione tra burattini e marionette. Si tratta di fantocci alti circa 70 cm, che pesano circa 2 chili, i quali vengono mossi dal basso come i burattini, ma che hanno le gambe come le marionette e quindi venivano manovrati con stecche di ferro e non con la mano infilata all’interno.
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